Test effettuato dalle versioni Xbox 360 e PlayStation 3
Sfruttando i miglioramenti consecutivi dei suoi due predecessori a scelta essendo riusciti nell'impresa di rispolverare la licenza, Tomb Raider Underworld arriva quindi come l'opera definitiva, rispondendo a tutte le domande rimaste senza risposta e beneficiando del know-how ora acquisito da Crystal Dynamics nella creazione di un'esperienza di gioco coinvolgente e ben sintonizzata. Prendendo come base narrativa la ricerca ancora attiva di Lara di una pista che le permetta di rivedere finalmente sua madre, che secondo noi è andata nella mitica terra di Avalon, Tomb Raider Underworld si concentra sulla primitiva mitologia norrena, raramente vista nel mondo dei videogiochi. Un preciso limite tematico che non impedisce a Lara di andare dalla Thailandia all'Artico passando per il Sud America, in una prospettiva cara alla serie, ovvero il viaggio e la scoperta. Questo opus si basa quindi su solide basi che funzionano ancora altrettanto bene, combinando la meraviglia di un cambio di scenario con l'eccitazione del mistero in un fascino infantile dei film d'avventura abilmente resi. Un piacere contemplativo che soffre di un male altrettanto diffuso nel mondo del cinema d'azione, ovvero uno scenario relativamente mal costruito, che ovviamente include la sua quota di rivelazioni e conclusioni degne di interesse, ma che avanza in maniera del tutto sintetica, lasciando il gameplay prende il primo piano con allestimenti vuoti ed ellissi dannose. Possiamo davvero rimpiangere che il titolo nel suo insieme non assomigli alla sequenza intelligente delle prime "missioni" tanto varia quanto fluida nel loro andamento. Perché se la cornice si lascia seguire, è più come un raccoglitore che per la sua qualità di scrittura. Certo, questo non è necessariamente quello che ci si chiede a un Tomb Raider, ma quando certi difetti emergono in modo evidente, è sempre un risparmio aggrapparsi a una buona storia.
Gameplay fastidioso
Molto più flessibile rispetto alle sue prime avventure, dove il pixel invisibile poteva impedirti di azionare una leva o di saltare con successo, Lara ha subito radicali evoluzioni in Tomb Raider Anniversary e Tomb Raider Legend, muovendosi verso una sorta di automazione piacevole, che evita troppe frustrazioni con il gameplay, ed evita di offuscare i progressi nell'avventura. Tuttavia, sebbene in Tomb Raider Legend fosse richiesto un equilibrio in particolare, questo gameplay in qualche modo assistito integrava perfettamente la riduzione dell'aspetto puramente di ricerca, perde il suo splendore in Tomb Raider Underworld, poiché ora l'enfasi è posta sulla risoluzione degli enigmi. Tornando al suo primo amore, questo episodio è davvero più un gioco di avventura à la Broken Sword (Les Chevaliers de Baphomet) pieno di adrenalina che un gioco d'azione in senso stretto. Incastonati in maniera particolarmente sapiente nelle magnifiche decorazioni che il gioco nasconde, gli strumenti necessari ai propri progressi, siano essi le pareti praticabili, gli elementi da posizionare con precisione, in sintesi gli indizi visivi di ogni tipo, richiedono lunghi minuti di attenzione . . A volte solo una sfumatura leggermente diversa, una cornice troppo perfetta per essere naturale attirerà il tuo occhio attento, che non beneficia di alcun aiuto particolare. Questa richiesta di osservazione concentrata evidenzia anche un level-design estremamente inventivo, poiché risulta essere torturato e contorto nel suo funzionamento. Questo pregiudizio sorprendentemente controllato è una gioia da sperimentare al punto da ritrovarsi a pensare al modo migliore - non necessariamente il più logico - per aprire una porta sigillata o accedere a una colonna fuori portata. L'immersione è quindi tanto più facile, al punto da essere talvolta entusiasti per la semplice scoperta di un nuovo campo di riflessione con polvere millenaria.
Tuttavia, sebbene l'equilibrio fosse essenziale in particolare in Tomb Raider Legend, questo gameplay leggermente assistito integrando perfettamente la riduzione dell'aspetto puramente di ricerca, perde la sua lucentezza in Tomb Raider Underworld.
Il problema che si pone allora è quello del mix tra questo approccio chiaramente orientato all'esplorazione, e un gameplay la cui evoluzione non si addice proprio a questo ritorno al passato. Beneficiando ancora delle nuove abilità in questo episodio, la bellissima archeologa/avventuriera/acrobata perde in libertà ciò che guadagna in semplicità. D'ora in poi gli scontri corpo a corpo si possono riassumere in un calcio molto sobrio, e alcune azioni speciali durante gli scontri a fuoco hanno ceduto il passo a un principio caro a Max Payne: il rallentamento dell'azione una volta che il livello di adrenalina è sufficientemente alzato. Durante queste fasi dovrai allineare il tuo reticolo con un bersaglio presente sul nemico di fronte a te, per abbatterlo con un solo proiettile. Un'idea che gira velocemente in tondo, colpa di una messa in scena sempre simile durante questi passaggi, dando loro una ridondanza spingendo il giocatore a non usarli più davvero. Per dirla senza mezzi termini, i combattimenti sono ovviamente lenti, non riuscendo mai a diventare una parte "reale" del gameplay. Nella stessa linea, la gestione dei salti è ormai curata per la maggior parte del tempo, ed è raro perdere un volo se si presta attenzione, però, ad osservare la posizione di Lara, per sapere se sceglierà di aggrapparsi o non a un muro. Certo, è molto possibile dedicare diversi minuti a un passaggio che è stranamente in gran parte meno frequentato, ma questo tipo di situazione si verifica nella maggior parte dei casi dopo una delle tante follie di una telecamera mal gestita. Impedendo davvero l'avanzata del software, mascherando troppe volte i punti di atterraggio della bellezza, e molto spesso andando in panico non appena ci si avvicina ad un ostacolo, il punto di vista è in una sensazione l'unico vero nemico di Tomb Raider con i suoi squilibrio. Perché come riuscire a suscitare un reale interesse costante quando l'esplorazione prevale totalmente sul puro piacere del gioco? Nel caso di un gioco aperto, la libertà di movimento compensa questa noia, ma qui, in una certa linearità, si insinua rapidamente la stanchezza e l'impressione di giocare una sorta di puzzle-game venato di azione che diventa sempre più grande. Certo, livelli enormi come quello del prologo o anche del recinto dei templi Maya, che devono essere esplorati da cima a fondo, rimuovono buona parte di questo inconveniente, ma quelli rimanenti, essendo limitati a un meccanismo centrale a malapena circondato da alcuni sfortunati schermi rendono questa impressione di piattezza ancora più significativa. Se alcune fasi motociclistiche mostrano un improvviso dinamismo esaltante, in particolare la vertiginosa discesa delle cenge del Valaskjálf, sono solo sporadiche e non aggiungono la vera nozione di avventura che ci si aspetta da un titolo senza fiato, ma senza risorse, soprattutto grafiche .
Indiana Croft
Mostrando un lavoro assolutamente favoloso sull'atmosfera, Tomb Raider Underworld è costantemente un invito alla contemplazione. Nulla sembra inconsistente nella costruzione dei livelli, tanto dal punto di vista architettonico, storico o tecnico. Il titolo beneficia di una direzione artistica di altissima qualità, e spesso ci troviamo a studiare le diverse stanze o ambienti attraversati da semplice ammirazione o curiosità. Tomb Raider Underworld riesce a rendere il suo mondo un'esperienza davvero sensibile, nel senso che si sente il degrado dei luoghi, l'abbandono che li occupa e si sente il bisogno di esplorare il mistero che nascondono. In questo, il software di Crystal Dynamics riesce a rassicurare, a dimostrare che ci si può lasciare trasportare da un'atmosfera che quasi ci fa dimenticare le peregrinazioni del gameplay. Perché la forza di Tomb Raider Underworld sta proprio qui, nella sua capacità di farci dimenticare spesso che siamo davanti a un videogioco, di darci l'impressione di vivere un'avventura palpabile, di partecipare a una ricerca mistico-archeologica degna dell'Indiana Jones. Peccato infatti che lo squilibrio generale, la mancanza di ambizione e il lato incompiuto vengano ad appesantire gli ottimi tempi trascorsi al gioco, perché tra i bug di collisione, la scomparsa delle texture e i problemi di visualizzazione, il software non aiutaci davvero a mettere le cose in prospettiva. Ma alla fine, ciò che resta dell'avventura una volta completata è la sensazione di aver appena vissuto una breve storia coinvolgente con una colonna sonora finemente realizzata, e questo con piacere genuino. Il problema del sentimento è che non nasconde la realtà delle cose.